TORNA ALLA LISTA EVENTI

 

Palazzo Albrizzi, ACIT Venezia, Cannaregio 4118

14 dicembre 2024 ore 17:30

 

SCHUBERTIADE

Fabio Grasso, pianoforte

 

 

Franz Schubert (1797-1828)

 

Improvvisi D 935 (1827)

n. 1 in Fa minore

n. 2 in La bemolle maggiore

n. 3 in Si bemolle maggiore (Tema con Variazioni)

n. 4 in Fa minore

 

Sonata D 960 in Si bemolle maggiore (1828)

Molto moderato

Andante sostenuto

Scherzo: Allegro vivace con delicatezza

Allegro, ma non troppo

 

 

Gli ultimi due anni della breve vita di Schubert vedono fiorire un’impressionante messe di capolavori, tanto più densa di opere monumentali quanto più ci si avvicina alla fine (come le ultime Sonate per pianoforte, la Sinfonia Grande, i cicli liederistici Winterreise e Schwanengesang).

Uno dei più significativi annunci di questa estrema fase creativa è la seconda serie degli Improvvisi, catalogata come D 935, che aggiunge altre quattro perle ai quattro analoghi brani della prima raccolta D 899. Nel secondo volume la ricerca sull’improvvisazione si approfondisce e si diversifica a livello formale nei due brani dispari. Il n. 3 è esplicitamente strutturato come Tema con Variazioni, quasi omaggio a un genere che in età mozartiana aveva rappresentato un importante terreno d’esercizio per la pratica improvvisativa. Una sperimentazione formale più avanzata viene riservata al n. 1, giacché nei nn. 2 e 4 lo schema ad incastro variamente utilizzato per gli Improvvisi del primo libro ritorna senza novità di rilievo - il focus del n. 2 è la ricerca di una morbidezza timbrica da Momento musicale, mentre il n. 4 sembra a tratti uno studio sulle scale articolate con fantasiosa vivacità, a contraltare di un nervoso tema iniziale, quasi inquieta reminiscenza dell’incipit del Momento musicale n. 3, con cui condivide tonalità e registro. Nel primo Improvviso, invece, la consueta architettura simmetrica evolve verso una conformazione lievemente più complessa, sintetizzabile come ABC-ABC-A, il cui principale motivo di interesse risiede nel fatto che le due coppie AB alludono neanche troppo velatamente a un bitematismo sonatistico, sottolineato dalla differenziazione tonale dei due elementi B. Non si tratta però di un bipolarismo tematico a tinte contrastanti, in quanto la versione compiuta di B è il frutto di un percorso evolutivo di un motivo che appare subito dopo l’enunciazione di A, e che si trasforma gradualmente, modulando come una sorta di ponte verso la destinazione B, a sua volta arricchita da una ripetizione ornata con una tecnica tipica delle variazioni. Da questo variegato contesto di suggestioni formali emergono in controluce i contorni di una forma-sonata dissimulati dal raddoppio della sezione C, in virtù del quale, tuttavia, prende corpo una struttura complessiva che per certi versi anticipa il modello col doppio Sviluppo che Schumann avrà modo di personalizzare in diversi movimenti delle sue Sonate per pianoforte.

L’imponente Sonata D 960, epilogo del corpus, costituisce un vero e proprio testamento musicale: la sua natura di sintesi conclusiva di un itinerario creativo traspare già dalle più o meno esplicite allusioni a brani precedenti che punteggiano variamente e discretamente i quattro movimenti (Wandererfantasie, Winterreise, lo stesso quarto Improvviso della seconda raccolta). L’opera nutre altissime ambizioni di pregnanza concettuale, manifestate soprattutto nello struggente secondo movimento, sostanziale fulcro dell’opera. L’estesissimo primo tempo offre significativi esempi di trattamento tematico condotto con tecniche diverse da quelle beethoveniane: il nuovo approccio non mira più allo sfrondamento dei materiali, bensì alla loro dilatazione narrativa, aprendo una via che sarà poi battuta in particolare da Mahler. Solo un poco meno divagante appare il Finale, geniale rivisitazione della forma del rondò-sonata, in cui le sezioni ampiamente discorsive sono inframmezzate da un momento centrale di elaborazione motivica stringente, vaga reminiscenza del Finale della Fantasia a quattro mani. L’ottava vuota di apertura ritorna più volte, quasi segnale di come il movimento sia sottilmente pervaso da un latente senso dell’ineluttabilità, vissuto tuttavia con la levità ereditata dallo Scherzo, gioiello di straordinaria raffinatezza coloristica, fugace oasi di spensierata rigenerazione riaffiorante dalle profondità del secondo tempo. Se dunque il primo movimento incarna con la sua libertà digressiva il desiderio di un ultimo viaggio, come si può evincere anche dalla citazione dell’incipit del Wanderer posta al centro dello sviluppo, l’Andante sostenuto, non per caso in Do diesis minore (tonalità tipica degli sguardi introspettivi più desolati), suggerisce l’idea di una lenta marcia verso un esito inesorabile, metafora di un faticoso tragitto esistenziale costellato di silenzi, interrogativi irrisolti, rivelazioni di tragicità tanto intensa quanto misurata nella sobrietà espressiva. Indubbiamente questo capolavoro deve molto a certi Adagi beethoveniani - si pensi in particolare a quelli relativamente giovanili delle Sonate op. 2 n. 3 e op. 10 n. 3. Parimenti inconfondibile è il tocco personale schubertiano della conclusione che, come in altre celebri occasioni, stempera il dolore del commiato nella dolcezza della transizione al modo maggiore, inequivocabile segnale di un estremo e rasserenante afflato liberatorio.

Fabio Grasso

 

Fabio Grasso, compiuti i primi studi musicali a Vercelli, sua città natale, coi maestri M. Barasolo e J. Micault, si è diplomato con lode e menzione in Pianoforte, poi in Composizione, quindi si è laureato con lode in Lettere classiche. Perfezionatosi in Pianoforte con M. Vincenzi, M. Tipo e K. Hellwig, in Composizione con G. Manzoni e F. Donatoni, ha vinto nel 1996 il Concorso pianistico internazionale di Orléans dedicato al repertorio moderno e contemporaneo, il concorso di composizione Ginastera di Buenos Aires e quello dell’Ensemble Télémaque di Marsiglia. La sua attività concertistica, discografica e compositiva si è svolta fra Europa e America, con particolare concentrazione in Francia, per prestigiose istituzioni di Parigi, Orléans, Montpellier, Colmar e altre città. Finalista al Concorso Busoni nel 1999, fra il 2007 e il 2021 ha eseguito in concerto l’integrale delle Sonate di Beethoven (Vercelli) e delle grandi opere pianistiche di Schumann (Venezia). Attualmente è docente al Conservatorio Vivaldi di Alessandria, dopo 16 anni di insegnamento al B. Marcello di Venezia.

 

www.fabiograsso.eu