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sabato 14 dicembre 2019, 17.30

Fra idillio e mistero

Settimo appuntamento dell'integrale pianistica di

Robert Schumann

Fabio Grasso, pianoforte

 

 

PROGRAMMA

 

Robert SCHUMANN (1810 - 1856)

 

4 Nachtstücke (Pezzi notturni) op. 23 - 1840

1. Mehr langsam, oft zurückhaltend (Lento, molto trattenuto)

2. Markiert und lebhaft (Marcato e vivace)

3. Mit grosser Lebhaftigkeit (Con grande vivacità)

4. Einfach (Semplice)

 

Waldscenen (Scene del bosco) op. 82 - 1849

1. Eintritt (Entrata) - 2. Jäger auf der Lauer (Cacciatore in agguato)

3. Einsame Blumen (Fiori solitari) - 4. Verrufene Stelle (Luogo stregato)

5. Freundliche Landschaft (Paesaggio ameno) - 6. Herberge (Locanda)

7. Vogel als Prophet (L'uccello profeta) - 8. Jagdlied (Canto di caccia)

9. Abschied (Commiato)

 

"Concerto senza orchestra"

Terza Sonata op. 14 in Fa minore - 1836

Allegro brillante

Quasi Variazioni su un Andantino di Clara Wieck

Prestissimo

 

Fabio Grasso, pianoforte

 

Verso la metà di gennaio del 1840, poco prima della pubblicazione dei Nachtstücke op.23, Robert Schumann scrive a Clara una lettera in cui le espone l'intenzione di dare un sottotitolo a ciascuno dei quattro pezzi che compongono il ciclo, già oggetto di vari scambi di vedute durante le settimane precedenti. Ne riceve in risposta l'esortazione ad abbandonare tale intento, poiché quei sottotitoli, frutto di pensieri troppo privati, sono certamente fascinosi e ben comprensibili soltanto per loro due, ma potenzialmente fuorvianti e a rischio di fraintendimenti per chiunque altro: la musica basterà a se stessa, sarà cioè perfettamente in grado di dispiegare la sua forza espressiva senza bisogno di ulteriori esplicazioni verbali. Il compositore segue il consiglio, e l'opera appare col solo titolo generale di "Pezzi notturni", omaggio all'omonima raccolta di tetri racconti di E.T.A. Hoffmann. È proprio sulla base di questa relazione letteraria che si può apprezzare ancora meglio l'acume dell'intuizione di Clara. La visione hoffmanniana della notte come regno del mistero, dell'occulto, campo d'azione del lato più oscuro dell'animo umano (non a caso questo filone narrativo hoffmanniano è da molti considerato antesignano dei generi horror o "noir", ed è senz'altro un riferimento cardine per E. A. Poe) non può che colpire profondamente l'immaginazione di Schumann, specie in un periodo dominato da pensieri foschi. Sugli ultimi mesi del 1839 pesa la delusione per il sostanziale fallimento dell'esperienza viennese; lo stato di turbamento è aggravato dalla notizia della morte del fratello Eduard, ricevuta proprio durante la stesura di questi pezzi, che dunque sembrano destinati a recare un'impronta lugubre, riflesso della loro fonte letteraria e della disposizione interiore dell'autore. Ma come l'ironia di Hoffmann è capace di ribaltare di colpo le situazioni, nei modi più inattesi, attraverso violenti e improvvisi chiaroscuri, così nei Nachtstücke i toni cupi sono limitati alla frase principale del n.1, misterioso ritornello che all'ultima apparizione viene parzialmente silenziato tramite un modernissimo meccanismo di soppressione di alcuni accordi, leggibile in chiave psicologica come una sorta di rimozione, o un black-out intermittente dello stato di coscienza. Ma già fin dagli intermezzi del pezzo iniziale il discorso musicale intraprende digressioni che si fanno via via sempre più variegate, soprattutto attraverso i bizzarri contrasti umorali del secondo movimento, fino ad acquisire piena luminosità nel trascinante n. 3, impreziosito da due episodi in minore, l'uno venato d'ineffabile senso di struggimento, l'altro concepito come un piccolo Scherzo che alterna rapidamente metro ternario e metro binario. Il pezzo finale si presenta come reminiscenza trasfigurata del primo: il suo tema principale, pensato, a quanto risulta dalle annotazioni preparatorie, come canto di una voce solista che si diffonde nella notte, scioglie in arpeggi le sommesse linee accordali dell'incipit del n. 1, e ne risolve gli enigmatici interrogativi in una melodia di rassicurante dolcezza, quasi elegante serenata notturna. A livello costruttivo ogni passaggio di questa metamorfosi si realizza, più o meno esplicitamente, sulla base dello stesso materiale motivico, quello del tema principale del primo pezzo, un semplice inciso melodico che scende per gradi congiunti. Nell'arco del ciclo esso viene sottoposto, con altissima perizia compositiva, a una serie di radicali trasformazioni, che consentono di dar vita a quadri così diversi fra loro, ma al tempo stesso fortemente coesi in virtù della comune cellula costitutiva. Si comprende dunque come il risultato complessivo vada molto oltre il dato iniziale della suggestione letteraria: le mutevoli e misteriose figure della notte hoffmanniana vivono di vita propria nella narrazione musicale, seguono percorsi metamorfici del tutto autonomi, tracciati non solo dall'estro dell'immaginazione, ma forse qui ancora di più da una tecnica di scrittura ampiamente collaudata, a lampante conferma della previsione di Clara: "la musica da sola dirà molto di più" di qualsiasi descrizione supplementare.

Non è forse un caso, allora, se quel motivo generatore ha con Clara un legame più forte di quanto possa sembrare al solo esame dell'op.23.

Circa tre anni prima, nel 1836, Schumann compone l'op.14, una Sonata in Fa minore inizialmente pensata in 5 movimenti, comprensiva di ben due Scherzi. All'atto della prima pubblicazione tali Scherzi vengono però soppressi, e l'opera esce con la denominazione "Concerto senza orchestra", in riferimento alla divisione in soli tre movimenti (come di norma accade con i Concerti per solista e orchestra) e presumibilmente alle sonorità potenti e all'impeto virtuosistico dei tempi estremi. La decisiva chiave di lettura strutturale dell'intera Sonata, in grado di spiegare il taglio degli Scherzi, si trova nel movimento centrale, una breve serie di "Quasi Variazioni" su un Andantino di Clara Wieck, il cui tema non è altro che una successione di cinque note discendenti per gradi congiunti, esattamente come il motivo fondante dei Nachtstücke. Ed anche questa cellula elementare viene fatta sapientemente circolare in tutte le sezioni dell'intera Sonata, divenendone principio generatore ed unificante. Nel primo movimento la riconosciamo anzitutto, scopertissima, come testa del primo tema, poi, rovesciata in senso ascendente, come inizio del secondo tema, e ancora, di lì a poco, in direzione sia ascendente che discendente, nelle linee del terzo tema, posto, secondo il magistero beethoveniano, a completamento dell'Esposizione. Una diffusione tanto capillare di tale elemento non può che essere il presupposto per un suo esteso utilizzo anche nello Sviluppo, il cui trattamento costituisce un'importante peculiarità delle forme-sonata concepite da Schumann in quest'opera. A fronte della soppressione del ritornello dell'Esposizione, è lo Sviluppo ad essere riproposto integralmente dopo la Ripresa, opportunamente trasportato (una quinta sotto) in modo da fluire in perfetta consequenzialità con essa, ed infine modificato in maniera tale da sfociare direttamente nella Coda. La trovata formale, che testimonia come in questa fase l'interesse di Schumann in ambito sonatistico sia soprattutto concentrato sugli Sviluppi, viene applicata con le stesse modalità anche al Finale, un vertiginoso Prestissimo al quale la tecnica tipicamente schumanniana della reiterazione trasposta conferisce un andamento ancor più incalzante. Il suo primo tema gioca sul dialogo tra versione ascendente e discendente del motivo di base, che risulta poi chiaramente individuabile, solo nel verso discendente, anche nel profilo del secondo tema, arricchito da note di sfuggita.

La forza di questo legame motivico, insieme all'identità tonale dei tre movimenti (tutti in Fa minore, quasi un implicito invito all'esecuzione senza soluzione di continuità), fa dell'op.14 la creazione sonatistica schumanniana più unitaria, innervata da un arco strutturale ad esaltazione della cui monolitica imponenza il ventiseienne compositore sacrifica avvedutamente i due Scherzi. Solo nel 1853, nel contesto delle non sempre condivisibili operazioni di revisione di alcune composizioni degli anni 30 la Sonata viene rimaneggiata ai fini della ripubblicazione presso un nuovo editore, che caldeggia l'inserimento di uno Scherzo. La nuova versione appare dunque col titolo di "Grande Sonata", e con l'aggiunta in seconda posizione di uno Scherzo oscillante fra Si bemolle minore e Re bemolle maggiore, una sorta di rifacimento di uno dei due precedentemente espunti. Questa interpolazione pare essere dettata essenzialmente da esigenze di maquillage editoriale, a detrimento della straordinaria coesione strutturale e tonale che è il più significativo tratto caratterizzante del "Concerto senza orchestra". Di qui la scelta di eseguire l'op.14 nella versione originaria in tre movimenti del 1836.

Le quattro "Quasi Variazioni", oltre ad essere il momento rivelatore della fonte da cui trae origine il materiale motivico basilare di tutto il brano, ne costituiscono anche il cuore espressivo, lo scrigno dei significati più profondi, di un messaggio recondito che si lascia qui intravedere, durante la tregua delle tempeste sonore di un pianismo cupo e tumultuoso capace di influenzare molta produzione del tardo Ottocento, fino a certi lavori di Rachmaninoff o Skrjabin. Basti pensare alla quarta Variazione, al cui vibrante declamato fa seguito una coda sorprendente, ove l'enfasi melodica si contrae repentinamente in una sorta di recitativo rassegnato, sprofondante nelle regioni più gravi della tastiera, ed estinto gradualmente in una linea che resta incompiuta, come se venissero a mancare le forze per completare la rivelazione di un presagio indicibile, dinanzi al quale "un giuramento chiude le labbra", per dirla con le parole che Goethe fa pronunciare a Mignon in una delle liriche più musicate dai compositori romantici: un sigillo che qui prende le sembianze dei nove accordi di Fa minore in diminuendo, sipario inesorabile sul canto spezzato, e punto di avvio della cavalcata del Finale.

Il tema della premonizione latente sembra dunque un filo conduttore che collega i tre lavori in programma. Se nel corso dei Nachtstücke le tenebre dell'inizio vengono dissipate dalla prefigurazione di scenari sereni, nelle Waldscenen op.82 del 1849 il motivo del presentimento torna con tutto il suo carico di oscurità, sotto il manto apparentemente idilliaco della visione romantica della Natura. È passato ormai quasi un decennio da quando Schumann, profondo conoscitore degli scritti di autori come Tieck e Eichendorff, ha cominciato a rivestire di musica immortale le immagini silvestri di poesie talora già di per sé non meno sublimi, in raccolte liederistiche come Myrten op.25 e soprattutto il Liederkreis op.39. Qui in ogni descrizione di soave scena di bosco renano Eichendorff insinua un fremito di inquietudine, il non detto di un ricordo inconfessabile, il dubbio fra la resa rassegnata a un presagio incombente e l'illusione di utopiche speranze. I nove brani delle Waldscenen si richiamano a questo complesso universo interiore che la sensibilità romantica sottende al paesaggio boschivo, ma in una chiave diversa, quasi con una punta di maturo distacco, rispetto alla totale, irripetibile ed inarrivabile immedesimazione fra creazione musicale e sorgente letteraria dell'op.39.

Come il prologo e l'epilogo delle Kinderszenen marcano, quasi metateatralmente, l'inizio e la fine dell'affettuosa rievocazione di un periodo di vita ormai passato, così Entrata e Commiato delle Waldscenen incorniciano una serie di reminiscenze, certo ancora vivide, come i  contrasti da cui sono percorse - non sfuggirà infatti che i due radiosi quadretti centrali, nn. 5 e 6, legati fra loro anche da uno scherzoso richiamo tematico, sono accerchiati dalle ombre dei nn. 2-3-4 (la singolare ambiguità del cacciatore, la segreta tristezza dei fiori solitari, le inquietanti leggende della foresta) e dal canto mestamente profetico del n.7. Ma proprio il meraviglioso corale che sgorga come per incanto proprio al centro del settimo pezzo comincia a suggerirci che tutte quelle immagini sono ricontestualizzabili in un pensiero che si sta evolvendo verso orizzonti nuovi. È poi soprattutto il n.9 a completare la rivelazione: dopo la breve introduzione, quasi mitigante commento agli squilli esuberanti del "canto di caccia" che nel n.8 riafferma i canoni del tòpos venatorio romantico, il tema principale si presenta come pacata trasfigurazione della gioviale melodia del n.6, prosegue ricordando per un attimo il canto floreale del n.3 ammiccando alla geniale dissonanza semitonale che ne è la peculiarità armonica più notevole, e porta infine a compimento il suo commovente congedo su semplici incisi melodici reiterati, echi di quelli che nel n.1 parevano sospiri interrogativi, ai quali qui, come già accadeva alla fine delle Kinderszenen, la "voce del poeta" sussurra la risposta svelata dal tempo. Un rinnovato sguardo profetico si proietta verso il futuro, nutrito dalla memoria di quelle profezie che appaiono ormai superate, come in una sorta di presagio al quadrato, ponte verso l'ultimo stadio della riflessione schumanniana sulla Natura che troverà mirabile espressione nei Gesänge der Frühe op.133.

Ancora una volta, come nei Nachtstücke, il primato della musica si afferma con evidenza inequivocabile. Solo il brano n. 4 è preceduto in partitura da alcuni versi di Hebbel relativi ad un angolo di bosco su cui grava la fama di racconti mitici particolarmente truci. Le poesie di Pfarrius successivamente indicate da Schumann come affini ai brani dell'op.82 sono addirittura posteriori alle Waldscenen stesse, circostanza che spazza via ogni possibile dubbio su eventuali intenti programmatici del lavoro. Come sempre avviene nell'intera produzione schumanniana, a partire da una scintilla ispiratrice letteraria la musica nasce e si sviluppa seguendo le sue vie e il suo linguaggio in piena indipendenza, fuori da qualsiasi logica descrittiva, e infine diviene essa stessa evocatrice di nuovi spunti extramusicali, nel segno della modernità di un'estetica di cui i Preludi di Debussy, ben oltre mezzo secolo più tardi, sapranno essere i più degni continuatori.

Fabio Grasso

www.fabiograsso.eu

 

 

 

 

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