Sabato 22 settembre 2018, Palazzo Albrizzi, h18.00
ACIT Venezia, Cannaregio 4118 - Tel. 0415225475
(prenotazione telefonica raccomandata)
"Le infinite rose
dell'Aurora"
Sesto appuntamento dell'integrale
delle opere pianistiche di Robert Schumann
Fabio Grasso, pianoforte
PROGRAMMA
Gesänge der Frühe op. 133
Impromptus op. 5 über ein Thema von Clara Wieck
Arabeske op. 18
Phantasie op. 17
- 1. Durchaus phantastisch und leidenschaftlich
vorzutragen
- 2. Mäßig. Durchaus energisch
- 3. Langsam getragen. Durchweg leise zu
halten
Pagina generale del progetto Schumann
www.rosenfinger.com/schumannproject.htm
L'opera di Friedrich Hölderlin (1770-1843) dovette attendere il XX secolo per
essere compresa a fondo ed assurgere a inesauribile fonte di ispirazione per
poeti, scrittori e soprattutto compositori.
Robert Schumann
e la poetessa Bettina Brentano von
Arnim (1785-1859) possono essere annoverati fra quei
suoi contemporanei già in grado di cogliere il fascino della sua misteriosa
profondità. Non a caso Schumann dedica proprio alla Brentano i Gesänge der Frühe (Canti dell'alba)
op. 133, la sua penultima raccolta pianistica, completata nel 1853, pochi mesi
prima delle manifestazioni più eclatanti della malattia mentale - sventura
toccata anche a Hölderlin. Il breve ed enigmatico
ciclo è connesso al mondo hölderliniano da un legame
sottilissimo, che ci consente tuttavia di svelare una rete di relazioni con il
resto del programma.
Individuare con esattezza gli spunti ispiratori alla base di
questi cinque brani è impresa oltremodo ardua, giacché le fonti documentali di
cui si dispone sono estremamente scarne: una sorta di dedica-sottotitolo "An Diotima", espunta poco
prima della pubblicazione, e un'annotazione "Diotima
- Hyprion" riportata su un diario. Diotima è la figura femminile che in varie liriche hölderliniane è celebrata come portatrice di una svolta
illuminante nella vita e nella crescita interiore dell'autore; il medesimo nome
viene assegnato anche all'amata di Hyperion, il
protagonista dell'omonimo romanzo epistolare, attraverso il quale Hölderlin fa trasparire importanti aspetti della propria
concezione filosofica specie in materia di storia e natura. Anche la Diotima del romanzo è simbolo di luce ed armonia - del
resto il nome greco, desunto dal personaggio del Simposio di Platone, dal
punto di vista etimologico è in ultima analisi riconducibile alla sfera della
luce). Lungo il corso dei suoi scambi epistolari Hyperion
("colui che sta al di sopra"), proiezione autobiografica dello
scrittore, prende coscienza dell'ineluttabilità del fallimento dell'azione
umana nella storia, dell'irraggiungibilità dei modelli archetipici
della Grecia antica, e realizza che la più alta delle aspirazioni è
l'assimilazione dell'individuo al Tutto rappresentato dalla Natura, in una
visione panteistica di matrice spinoziana. Alcune
delle sue esperienze di vita più determinanti, fra cui l'incontro con Diotima, sono accompagnate dall'apparizione della luce
mattutina che dissipa l'oscurità della notte. Possiamo dunque supporre che Schumann sia rimasto colpito da questa correlazione, forse
perché a livello personale il sopraggiungere dell'aurora costituiva spesso un
motivo di sollievo dopo notti tormentate dagli incubi, o forse anche perché in
questo periodo il compositore condivide con Hyperion,
sia pure in condizioni ben diverse, la consapevolezza del distacco dalla vita
d'azione, un commiato che l'eroe hölderliniano
sancisce contemplando il sorgere del sole.
La raccolta si apre con un sommesso corale, concluso da una
serie di imitazioni in stretto, e animato al centro da un sobrio crescendo che
prefigura il percorso generale del ciclo e il suo complessivo incremento di
"luminosità sonora", quasi a rispecchiare l'aumento d'intensità del
chiarore dell'alba. Il secondo brano, uno dei più criptici dell'intera
produzione schumanniana, altera con tecniche variative e talora imitative il materiale melodico fondante
del primo: da un lato le due quinte Re-La Si-Mi, in tedesco D-A H-E, le lettere
musicali dei nomi Diotima e Hyperion,
dall'altro le linee per gradi congiunti. Di fatto il sinuoso percorso armonico
non si svincola mai da un'insistente e quasi tautologica gravitazione sul I, V
e IV grado di Re maggiore, ricordando così la scrittura delle Geister Variationen,
l'estremo testamento pianistico composto pochi mesi dopo, il cui eloquio piano
ed essenziale cela in realtà la disperata ricerca di rassicurazione da parte di
un'anima smarrita nei turbamenti. I pezzi dal n. 3 al n. 5 sono improntati ad
un effettivo rasserenamento, i cui segnali rimandano a temi chiave
dell'immaginario romantico, e schumanniano in
particolare: il suono dei corni da caccia nel terzo brano pare annunciare il
diffondersi della luce aurorale nella foresta, risvegliandone per un attimo le
fascinose leggende cantate in così tanti Lieder ed
evocate anche in varie composizioni pianistiche e sinfoniche. Quei bagliori si
rifrangono malinconicamente nella cristallina sonorità arpistica
del quarto brano, fino alla loro definitiva dissolvenza, magistralmente
realizzata dalla connessione diretta fra n. 4 e n. 5, su un'armonia di Fa
diesis maggiore subito ricondotta nell'alveo del Re maggiore d'impianto. Ha
così inizio un sublime inno al mattino ormai pieno, durante il quale viene
gradualmente raggiunto il culmine sonoro ed espressivo del ciclo, prima che in
un ultimo gioco di contrappunti e trasformazioni le cellule motiviche
fondamentali svaniscano del tutto, a poco a poco riassorbite nel quieto oceano
di arpeggi di Re maggiore. Ci sembra suggestivo immaginare queste risonanze
come una trasfigurazione della voce di Hyperion che
sussurra il suo "addio ai celesti", o cogliervi un riflesso del suo
anelito al ricongiungimento con l'immensità della Natura. Non può evidentemente
che trattarsi di associazioni soggettive, stimolate dalla lettura del romanzo:
d'altra parte lo stesso Schumann preannuncia i Gesänge al suo
editore come un insieme di "sensazioni all'approssimarsi dell'alba,
espressione di sentimenti più che espressione pittorica". Con questa frase
l'autore parafrasa volutamente la definizione che Beethoven
aveva dato della sua Sinfonia Pastorale, escludendo così ogni intento meramente
descrittivo.
Il riferimento a Beethoven, qui
relativamente marginale, acquisisce sempre maggiore centralità col procedere del
programma. Impossibile non pensare alle Variazioni dell'Eroica o anche alle
Variazioni Diabelli, osservando la struttura degli Improvvisi op. 5, in realtà una serie di
variazioni su un tema utilizzato da Clara nella Romanza op. 3, poi citato ancora da lei nell'op. 20, e omaggiato di
un'ulteriore citazione da Brahms nell'op. 9. Come
nell'Eroica il tema è preceduto dall'esposizione del suo basso, che funge così
da tema complementare (anche qui come all'inizio dell'op. 133 sono due quinte
consecutive ad avviare la frase). La cura della forma complessiva, l'inserzione
di una fuga bipartita nel finale e le deviazioni tonali delle ultime due
variazioni dal Do maggiore d'impianto inducono a supporre che le Diabelli siano state oggetto di attento studio. Il rimaneggiamento
datato 1850 della versione originaria del 1833 è senz'altro fonte di dubbi e
problemi, data l'inspiegabilità di alcuni interventi. Entrambe le versioni sono
presenti nell'edizione di Clara; optare per una o per l'altra sarebbe la scelta
filologicamente più corretta, ma dal punto di vista
musicale è ben più intrigante selezionare le soluzioni interessanti dell'una o
dell'altra stesura, e in alcuni casi proporle a confronto sfruttando i
ritornelli. È questa un'operazione da compiere con cautela, che per certi versi
sembra proiettare questo lavoro nel futuro, come una sorta di anticipazione di
quei brani a percorsi multipli in cui l'interprete determina l'itinerario - e
non è affatto detto che a una personalità così innovativa come quella del giovane
Schumann ciò sarebbe dispiaciuto.
Nel segno di Beethoven e di Clara
si chiude il cerchio del programma con la Fantasia
op. 17, scritta in seguito all'invito a partecipare ad un'iniziativa in ricordo
di Beethoven: questa la motivazione ufficiale della
presenza, nel primo movimento, di temi tratti dal ciclo di Lieder
beethoveniani An die
ferne Geliebte (All'amata
lontana), nonché dell'allusione, nel terzo movimento, all'Adagio del Quinto
Concerto per pianoforte e orchestra. Ma il richiamo all'amata lontana sottintende
la dedica implicita a Clara, dalla quale al momento di comporre questo brano Robert si trova ancora dolorosamente separato. Cuore
dell'opera è dunque il primo
movimento, senza nulla togliere alla fantasiosa brillantezza della Marcia
centrale (il cui posizionamento suggerisce un'affinità con la Marcia della
Sonata op. 101 di Beethoven) e alla sconfinata
profondità del finale, trionfo della pace, la Ruhe schlegeliana in opposizione dialettica alla Sehnsucht, lo struggimento nel desiderio inappagabile, che
è però così nobile da costituire di per se stesso una fonte d'appagamento. Il
primo movimento, una forma-sonata modificata, è il più straordinario manifesto
di questo ineffabile sentimento che permea la sensibilità romantica, e non è
certamente estraneo neppure agli afflati panici di Hyperion.
Se ne trovano mirabili tracce perfino in quel piccolo gioiello che è l'Arabeske op. 18, soprattutto nella coda, ove
ricorre uno dei temi schumanniani più "autocitati", legato ai momenti di più sincera rivelazione
dei propri orizzonti interiori. Ma la Sehnsucht che
promana dal primo tempo della Fantasia
si arricchisce di ulteriori significati grazie al gioco di dolci segreti
innescato dalla reminiscenza beethoveniana, dapprima
mascherata dall'inversione intervallare, poi dissimulata negli sviluppi motivici del secondo nucleo tematico e del "Legendenton", digressione narrativa evocatrice di cupe
ombre fatali. Infine, dopo la Ripresa, il tema conclusivo di An die ferne Geliebte si svela in
una triplice ripetizione, in diminuendo, commovente incarnazione musicale del
motto di Schlegel che Schumann
aveva originariamente apposto sulla partitura: un suono, nel sogno variopinto
della Terra, risuona più lungo e sommesso, per colei che ascolta in segreto.
Fabio
Grasso