8 ottobre 2016,
Venezia, Palazzo Albrizzi, ore 17.30
Cannaregio 4118 Tel
0415225475
La Novelletta nella
narrazione musicale schumanniana
Quarto appuntamento dell'integrale
pianistica di Schumann
Fabio Grasso,
pianoforte
PROGRAMMA
Robert SCHUMANN
(1810-1856)
Romanzen op. 28 (1839)
1. Sehr markiert (Molto marcato)
2. Einfach
(Semplice)
3. Sehr markiert (Molto marcato)
Phantasiestücke op. 111
(1851)
1. Sehr rasch, mit leidenschaftlichem
Vortrag (Presto appassionato)
2. Ziemlich langsam (Moderatamente lento)
3. Kräftig
und sehr markiert (Con
forza e molto marcato)
* * *
Novelletten op. 21 (1838)
n. 1. Markiert
und kräftig (Marcato e con forza)
n. 2. Äußerst
rasch und mit Bravour (Prestissimo con bravura)
n. 3. Leicht
und mit Humor (Leggero e
spiritoso)
n. 4. Ballmäßig,
sehr munter (In tempo di
ballo, lietamente)
n. 5. Rauschend
und festlich (Con slancio, festosamente)
n. 6. Sehr lebhaft, mit vielem
Humor (Molto vivace e spiritoso)
n. 7. Äußerst
rasch (Prestissimo)
n. 8. Sehr lebhaft (Molto vivace) / Hell und
lustig (Chiaro e brillante) /
Fortsetzung und
Schluß: munter, nicht zu rasch
(Continuazione e conclusione:
lietamente, non troppo presto)
"Ampie
storie avventurose, intimamente legate fra loro": così possiamo
sintetizzare le definizioni che Schumann dà delle sue
Novellette op. 21. Questa raccolta
domina il concerto odierno, inserito in una stagione che gravita attorno al
tema della narrazione in musica.
Tutti
gli itinerari seguiti nella nostra serie di appuntamenti schumanniani
esplorano inevitabilmente i legami fra musica e letteratura; tuttavia con le Novellette, composte nei primi mesi del
1838, si sperimenta un modo del tutto inedito di assecondare l'ispirazione
letteraria, la cui singolarità traspare già dal neologismo del titolo. In uno
spiritoso passaggio di una lettera a Clara Wieck il
compositore fa notare l'assonanza del termine "Novelle" con il
cognome dell'ammirata cantante Clara Novello, il cui nome di battesimo non
poteva che accrescerne la simpatia; così questa artista viene scherzosamente
indicata come l'ispiratrice del titolo "Novelletten"
- non essendo purtroppo possibile, soggiunge ironicamente l'autore, coniare il
termine "Wiecketten". Al di là del gioco di
parole, quasi superflua testimonianza dell'immancabile dedica ideale a Clara,
questa denominazione, applicata qui per la prima volta a una forma musicale,
riflette benissimo l'intento di trasporre in musica lo stile letterario dei
racconti e in generale delle narrazioni (in prosa o anche in versi) così
fondamentali nella formazione del compositore. Ci riferiamo in primo luogo a
E.T.A. Hoffmann, di cui abbiamo già diffusamente
trattato in occasione del precedente programma, contenente i Phantasiestücke
op. 12 e Kreisleriana
op. 16, composizioni rispetto alle quali le Novellette
presentano una sostanziale differenza di approccio creativo: infatti se per
quanto riguarda le op. 12 e 16 la lettura schumanniana
degli scritti di Hoffmann si concentra
sull'introspezione psicologica di un personaggio (Kreisler)
o sull'analisi approfondita di una tematica (la notte, il sogno), generando
cicli percorsi da fortissime tensioni drammatiche e caratterizzati da una tale
coesione che sarebbe insensato eseguirne separatamente i brani, le Novellette sembrano invece scaturire da
un pensiero più rilassato, più incline alla libera digressione ed agli
accostamenti di idee estemporanei e fantasiosi. Qui come mai altrove pare
insomma che di Hoffmann interessi, più dei contenuti
specifici, la tecnica narrativa in sé e per sé, la disposizione a incastro dei
racconti, l'excursus inatteso, la capacità di inventare storie collaterali che
si diramano dal filone principale (per certi versi ciò che nel linguaggio dei
media contemporanei si definisce spin-off). Proprio quest'ultimo aspetto pare acquisire particolare rilevanza
nelle Novellette, come testimonia la
presenza di intermezzi numerosi ed estesi, marcatamente digressivi, con labili
se non inesistenti legami con le sezioni principali dei brani che intercalano:
non va infatti dimenticato che alcuni di questi intermezzi potrebbero
sussistere come brani indipendenti (certamente come tale nasce quello della Novelletta n. 3), e che lo stesso Schumann ammette - anzi, nel caso di un recital tenuto da
Clara, consiglia - l'esecuzione di una sola Novelletta, estratta dal contesto complessivo.
Prima
di addentrarci in un'esplorazione più dettagliata di questa raccolta esponiamo
alcune considerazioni sulle due opere che la affiancano in questo programma, al
cui clima si viene introdotti dalla prima delle tre Romanze op. 28. molto vicina, per il suo andamento tempestoso
segnato da accentuazioni metricamente sfasate, a una
ballata di stampo goethiano o herderiano:
se ne può cogliere una certa affinità col n. 10 ("Balladenmässig")
dei Davidsbündlertänze op. 6, e d'altra parte l'accostamento schumanniano delle sfere della romanza e della ballata si
replica manifestamente nelle raccolte liederistiche
intitolate per l'appunto Romanzen und Balladen.
Il trittico op. 28 risale alla fine del 1839, e viene revisionato nei primi
mesi dell'anno successivo. Inizialmente l'autore non ne sembra entusiasta, ma
qualche tempo dopo lo annovera addirittura fra le sue composizioni pianistiche
più riuscite (con Novellette, Kreisleriana e poco altro, trascurando
sorprendentemente Carnaval
e altri capolavori di caratura indubbiamente superiore). Difficile dire se
questi giudizi, espressi nell'epistolario, riflettano reali convincimenti o se
siano piuttosto dettati dalla convenienza del momento; sta di fatto che
nell'agosto del 1851, al termine di una crociera sul Reno, che evidentemente
risveglia ricordi e impressioni di gioventù, Schumann
mette mano alla stesura di un nuovo trittico, i Phantasiestücke op. 111, che
hanno svariati punti di contatto proprio con le Romanze di 12 anni prima. Perfino un indizio superficiale come una
dedica, che nel caso dell'op. 111 è indirizzata alla moglie del principe già
dedicatario dell'op. 28, può suggerire una parentela fra i due lavori. Che
quello più tardo sia una sorta di reminiscenza dell'altro lo mostrano le
affinità delle rispettive strutture generali e di alcune caratteristiche dei
singoli brani: anche le folate che percorrono il n. 1 dell'op. 111 sembrano
venate della tragicità misteriosa e fatale delle ballate germaniche; inoltre le
chiare allusioni al quinto brano dei già citati Pezzi fantastici op. 12, "In
der Nacht", ci
fanno ben comprendere il senso di questa omonimia hoffmanniana
(Phantasiestücke in Callots Manier è il romanzo di Hoffmann
che ha esercitato la maggiore influenza su Schumann)
Sia
l'op. 28 che l'op. 111 constano di un pezzo centrale pervaso di intenso
lirismo, costruito in modo tale da intessere relazioni tonali di terza
maggiore, al netto del fattore enarmonico, col brano di apertura: se infatti la
Romanza n. 2 è in fa diesis maggiore,
come la parte centrale della n. 1, che ha come tono d'impianto si bemolle
minore, simmetricamente il n. 2 dell'op. 111 è in la bemolle maggiore, e reca
al suo interno un intermezzo in do minore, tonalità del n. 1. La seconda Romanza incastona la sublime purezza del
canto in una "Liedform" A-B-A'
insolitamente scevra di contrasti dinamici e di carattere fra le sezioni,
affidando la linea melodica iniziale a una voce che si muove nel registro
centrale, potremmo dire un'estrinsecazione sonora di quella segreta "innere Stimme" (voce
interiore) che in altre opere è solo notata graficamente, ma non effettivamente
eseguita. Ad essa viene eccezionalmente riservato il rigo intermedio di un
sistema a tre pentagrammi, quasi per offrirle uno spazio anche visivo di
protezione, che, mentre le linee di accompagnamento corrono sopra e sotto, la
preserva nella sua dolcezza e semplicità: "einfach"
(semplice) è infatti l'indicazione espressiva che viene adottata qui come in
molte altre delle pagine più introspettive, e che, paradossalmente, comporta la
più grande difficoltà interpretativa. Il tema principale del secondo pezzo
dell'op. 111 vive di una cantabilità più colloquiale,
sostenuta omoritmicamente da un fine accompagnamento
accordale, con una scansione ritmica non molto dissimile dall'incipit del
secondo movimento del Concerto per
pianoforte e orchestra, ma certo in una versione molto più meditativa ed
introflessa. L'inquieto moto per terzine del primo pezzo riappare nell'episodio
centrale del secondo, premonizione del ritorno al do minore del brano n. 3, la
cui aura di leggenda renana dominata da un senso di ineluttabilità ricorda
lontanamente, oltre che alcune delle Romanzen und Balladen, anche il Lied op. 48 n. 6, dedicato al Duomo
di Colonia, e il "Legendenton" della Fantasia op. 17. Essa è solo
apparentemente alleggerita da una raffinatissima seconda idea tematica i cui
slanci ascensionali sono inesorabilmente frustrati dai successivi arpeggi
discendenti.
Con
la terza Romanza op. 28 questo pezzo
condivide, non casualmente, l'andamento marziale e l'indicazione espressiva
"Sehr markiert"
(molto marcato). Tuttavia la Romanza si
discosta per carattere e per struttura da tutti gli altri brani delle due
raccolte: la connotazione meno cupa e più estroversa conferitale anche dal
luminoso si maggiore (su cui si arriva come in una cadenza dominante - tonica
dal fa diesis della seconda) e soprattutto il più complesso intreccio formale,
arricchito da due intermezzi aggiuntivi, la avvicinano proprio al variegato
schema strutturale di una Novelletta.
Ritorniamo
così al punto focale del programma, l'op. 21, il cui ascolto integrale richiede
senza dubbio uno sforzo di concentrazione impegnativo. Il compito può essere in
qualche modo facilitato dall'individuazione di una possibile forma generale
dell'opera: cerchiamo perciò di cogliere alcuni di quei sottili "intimi
legami" che intercorrono fra questi otto brani, senza trascurare le loro
relazioni con altri lavori schumanniani.
Ancora una volta la semplice
osservazione dell'itinerario tonale può essere di qualche aiuto: ben quattro Novellette consecutive, dalla n. 2 alla
n. 5, condividono la tonalità di re maggiore; ci si muove poi per quinte passando
al la maggiore della sesta e al mi maggiore della settima. Prendendo atto che
all'ottava, come vedremo, non è attribuibile un'unica tonalità d'impianto,
annotiamo infine il fa maggiore della prima, che è dunque in rapporto di terza
col blocco in re maggiore - e anche al suo interno si sviluppa su un percorso
modulante fatto di concatenazioni per terze. Non è evidentemente solo lo stacco
tonale a suggerire l'impressione di un certo isolamento formale di questo primo
pezzo così come dell'ultimo, in un'ipotesi di struttura complessiva, alla cui
formulazione concorre anche l'esame delle modalità di transizione da un brano
all'altro - si considera cioè se l'inizio di un brano sia collegabile alla
conclusione del precedente, e sotto questo aspetto i finali di Novelletta in
pianissimo, al termine di code che si dissolvono molto gradualmente, come nei
casi della n. 3 e della n. 5, sono maggiormente accreditabili come momenti di
cesura formale. Ma si deve tenere conto anche di un'altra importantissima
pratica schumanniana, la citazione o autocitazione con i suoi significati reconditi. Nella prima
Novelletta la frase più cantabile,
una sorta di secondo tema, racchiude in sé la citazione di un frammento
melodico utilizzato sempre in punti chiave delle opere in cui appare, e
definibile come evocazione musicale di un profondo, per quanto breve, momento
di confessione senza filtri, di apertura totale dell'animo, mai disgiunto dal
pensiero di Clara e venato da una sfumatura vagamente interrogativa:
Lo
troviamo nei brani introduttivi sia di questa op. 21 sia di Myrten op. 25 (nella sezione
centrale del Lied n. 1 Widmung - una "dedica", perfetto
prologo a una raccolta che costituisce uno dei regali di fidanzamento per
Clara); risuona nella coda dell'Arabeske e nel brano conclusivo di Kinderszenen, Der Dichter spricht, "Il poeta parla", un titolo che non
necessita di ulteriori illustrazioni; ritorna nel n. 4 di Kreisleriana, nel cuore del ciclo, l'unica vera tregua agli ossessivi tormenti
che lo percorrono. Mutuando un termine dal teatro potremmo definire questo
frammento come una componente metateatrale di
comunicazione non mediata fra autore e ascoltatori; dunque esso tende a
ricevere collocazioni strategiche nei membri di spicco di un'architettura, e
contribuisce a sottolinearne rilievo ed autonomia.
Nel
blocco in re maggiore la partizione interna più plausibile sembra essere quella
che lega 2 con 3 e 4 con 5. Al roboante finale della travolgente e quasi eroica
seconda Novelletta, inframmezzata da un
sognante episodio che Schumann rivela essere ispirato
dal ricordo di Suleika, la principessa goethiana del West-östlicher Divan protagonista di vari splendidi Lieder romantici, fa da immediato contraltare
l'umoristica timidezza dell'attacco della terza, il cui variopinto percorso
passa per un Intermezzo aperto da un accenno di cavalcata "selvaggia"
dai colori contrastati, in corrispondenza del quale era stato apposto - e poi
rimosso - l'incipit del Macbeth (la notte delle streghe). Molti sono i cambi di scena di questa
sezione centrale, punteggiata poi da due fulminee apparizioni della figura che
diventerà cardine della prima parte dell'ottava Novelletta, e che fra l'altro informa di sé anche la prima
variazione postuma degli Studi sinfonici:
L'Intermezzo
svanisce poi come nebulosa immagine di sogno, quando uno sforzato improvviso ci
risveglia in una ripresa identica nelle note, ma trasfigurata nello spirito da
quella potente sequenza di visioni.
Se
dunque le Novellette n. 2 e n. 3 sono
accomunate dalle suggestioni letterarie in nome di Goethe
e Shakespeare, la n. 4 e la n. 5 sembrano
riallacciarsi al mondo creativo più strettamente schumanniano:
si tratta di due danze, rispettivamente un valzer e una polonaise,
chiaramente riprese dai Papillons
op. 2, ove tuttavia il perenne dualismo tra i caratteri di Florestan
ed Eusebius sembra mettere da parte i contrasti più
sofferti, ed esprimersi in toni più divertiti attraverso avventure inedite e a
tratti quasi ricreative. È soprattutto negli intermezzi dell'ampia e
"festosa" n. 5, quasi un finale anticipato, che Schumann
gioca con connessioni armoniche a sorpresa, con ricercate simmetrie fra figure
ritmiche, con divagazioni assolutamente inopinate, con la forma stessa del
rondò, sapientemente suggellata non dal già usatissimo refrain, ma dalla riproposizione di uno degli episodi intermedi, che,
divenuto improvvisamente e profondamente meditativo, si estingue a poco a poco,
riducendo il ritmo di polonaise a un'eco remota nel
registro grave, e lasciando intuire di essere giunti al punto di svolta della
raccolta.
Lasciato
il re maggiore, le nuove tonalità della n. 6 e della n. 7 sembrano aprire nuove
direzioni per il viaggio narrativo delle Novellette.
Ciò è vero in parte: la natura di questi due brani rivela infatti anche una
sottile concezione palindromica sottesa a tutta l'op.
21. Come la terza, la sesta Novelletta
comincia con una frase ricca di "Humor", ha
una parte mediana fitta di digressioni e ripetizioni trasposte, in un intreccio
onirico risolto da un segnale di "risveglio" che lancia la ripresa
finale - non già della prima sezione ma della seconda. Con la Novelletta n. 2 la n. 7 condivide una
struttura più semplice, a grandi linee di tipo A-B-A, qui variata da un breve
segmento aggiuntivo e da un'inattesa inversione dei percorsi modulanti nel
finale, e come la n. 2 punta molto sul virtuosismo pianistico: non a caso, in
occasione del sopra menzionato recital di Clara, il suggerimento di Robert è quello di eseguire o la n. 2 o la n. 7, in ragione
della loro fruibilità e spettacolarità.
Alla luce di quanto detto possiamo dunque considerare l'op. 21 come una grande
costruzione simmetrica, in cui il centro è costituito dalla coppia 4-5, la
coppia 2-3 trova corrispondenza inversa in quella 6-7, e gli estremi si configurano
come membri a sé stanti, in quanto prologo ed epilogo.
Ci
resta da esaminare la n. 8, la più estesa, una riproduzione in scala ridotta di
alcune intenzioni creative riferibili alla totalità dell'opera: essa condensa
in sé tre pezzi diversi, di cui il primo è in fa diesis minore, mentre gli
altri due ritornano alla tonalità preponderante di re maggiore. Ciascuno di
essi ha la propria più o meno nutrita dotazione di intermezzi, e la loro
successione sembra riflettere un senso di teatralità: la drammaticità iniziale
viene progressivamente dissipata fino al trionfale brano di commiato, autentico
sipario di chiusura, in cui le tappe di questo straordinario viaggio vengono
ricapitolate gioiosamente. L'indicazione "Munter",
già usata anche nella n. 4, è di estremo interesse: i significati di questo
aggettivo e le sue ricorrenze nella liederistica schumanniana ci suggeriscono una gioiosità
vivace, vigile, non inconsapevole delle ombre che vi possono incombere: ad
esempio dal Lied op. 39 n. 7 si può evincere come alla sfera semantica di
"munter" siano associati gli allegri suoni
di un corteo nuziale, in contrasto con le lacrime segrete della sposa, di un
mitico cavaliere eremita della foresta renana e del poeta stesso (Eichendorff); una plastica realizzazione di questa
dicotomia ci viene poi offerta dal Lied op. 48 n. 9, non a caso in tempo
ternario analogo a quelli delle parti di Novellette di cui stiamo trattando, e
dunque prezioso termine di paragone per lo stacco della velocità.
Eppure
a ben vedere la conclusione più autentica delle Novellette non risiede nel terzo e ultimo segmento dell'ottava, un
"lieto fine" di grande effetto teatrale, ma piuttosto nella chiusa
del secondo, un gioiello che dopo il rutilante inizio accordale in ritmo
puntato si inabissa gradualmente nei recessi più riposti di una sfera interiore
ove regna l'immagine di Clara, omaggiata dalla citazione di un tema di lei
(quello del Notturno op. 6 n. 2). Sul
lungo diminuendo che spegne il ritmo puntato questo motivo fa la sua prima
apparizione, per poi ripetersi subito dopo, isolato e quanto mai "einfach", nel breve inserto che costituisce l'apice
contemplativo dell'op. 21, come a rammentare esotericamente
l'autentica fonte e la stella polare della creatività schumanniana,
anche quando l'ispirazione si concede i divertissements
delle Novellette. Tutto ciò che
segue, dalla ripresa sottovoce del ritmo puntato allo smagliante turbinio di
reminiscenze (ivi compreso il tema di Clara trasformato in quello iniziale
della Fantasia op. 17) e di nuove
idee della sezione finale, coi suoi virtuosismi armonici che prefigurano talora
l'esotismo del tardo romanticismo dell'Europa orientale, forse altro non è che
uno stupefacente fuoco d'artificio, la cui luce abbagliante serve a coprire
pudicamente quella soffusa di una verità troppo segreta per essere troppo
apertamente rivelata.
Fabio Grasso www.fabiograsso.eu