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Conservatorio B. Marcello, sabato 19 settembre 2015, ore 17.00 - Sala n. 47 *

 

ROBERT SCHUMANN

Serie delle opere pianistiche - 3o appuntamento

 

Fabio Grasso, pianoforte

 

 

Le sinestesie in E. T. A. Hoffmann, R. Schumann e A. Skrjabin

 

 

PROGRAMMA

 

ROBERT SCHUMANN (1810-1856)

 

Fantasiestücke op. 12 (1837)

1. Des Abends - Sehr innig zu spielen; 2. Aufschwung - Sehr rasch; 3. Warum? - Langsam und zart; 4. Grillen - Mit Humor; 5. In der Nacht - Mit Leidenschaft; 6. Fabel - Langsam/Schnell; 7. Traumes Wirren - Äußerst lebhaft; 8. Ende vom Lied - Mit gutem Humor

 

Thema mit Variationen (Geistervariationen) WoO 24 (1854)

Tema (Leise, innig) - Var. I - Var. II (Canonisch) - Var. III (Etwas belebter) - Var. IV (minore) - Var. V

 

Kreisleriana op. 16 (1838)

8 Phantasien für das Pianoforte

1. Äußerst bewegt - 2. Sehr innig und nicht zu rasch - 3. Sehr aufgeregt - 4. Sehr langsam - 5. Sehr lebhaft - 6. Sehr langsam -

7. Sehr rasch - 8. Schnell und spielend

 

Il rapporto tra follia e creatività stimola da sempre l'ispirazione degli artisti e le riflessioni degli studiosi, esercitando, si direbbe, un fascino particolare quando viene esplorato in ambito musicale. Il caso di Schumann ne mette ben in risalto anche le venature più tristi, quando gli aspetti umani del segmento terminale della vita dell'autore si impongono come sfondo, per certi versi non ignorabile, all'ultima fase della sua produzione.

Il programma odierno si concentra sulla travolgente forza ispiratrice rilevata da Schumann in un particolarissimo scritto di E.T.A Hoffmann, i Fantasiestücke in Callots Manier (Pezzi fantastici alla maniera di Callot). Certamente il compositore non poteva immaginare, mentre scopriva le fantasiose invenzioni letterarie contenute in quelle pagine, quante premonizioni del suo futuro destino vi si celassero; l'interesse con cui si dedica alla loro indagine non può non provocare in noi, osservatori a posteriori, un certo trasalimento al pensiero di come certe situazioni prospettate nei racconti si sarebbero poi riproposte nella vita reale.

Il ponderoso testo hoffmanniano è diviso in due parti, ciascuna delle quali contiene una sezione intitolata Kreisleriana, dal nome del protagonista, Johannes Kreisler, un compositore e direttore "eccentrico, selvaggio e arguto" (per usare le definizioni di Schumann), che incarna autobiograficamente il modello di musicista e di pensatore in cui lo stesso Hoffmann si riconosce, o vorrebbe riconoscersi - come è noto, i tentativi dello scrittore di cimentarsi anche nella composizione sortirono effetti alquanto sconfortanti.

Kreisler percepisce ogni manifestazione della realtà sensibile in termini musicali. I suoi processi cognitivi si basano sulla fusione sinestetica di colori, suoni, profumi, la cui risultante è un'armonia musicale: la sinestesia, sublimata attraverso il sogno, costituisce anche la porta d'accesso alle sfere più elevate della creatività. Le ricadute di questa ipersensibilità musicale sulla sua psiche sono assai diversificate. Nella più innocua ed umoristica delle circostanze si tratta di attribuire una tonalità musicale perfino al colore di un capo d'abbigliamento; ma come ben più drammatica conseguenza a lungo termine Kreisler finisce per sviluppare una percezione distorta, radicalmente dicotomica, potremmo dire schizofrenica, della propria arte, vissuta ora come sublime universo contemplativo, etereo rifugio e conforto alle pene esistenziali, ora come entità soggiogante ed ossessiva, perseguitante ed inesorabile emanazione mefistofelica che obnubila la mente fino alla follia. La misteriosa uscita di scena del protagonista, che sparisce senza lasciare traccia assecondando il proprio desiderio di "volare via sul manto di Mefistofele ... come un'innocente melodia, o come un basso ostinato", si accorda perfettamente al gusto per la bizzarria e per i contrasti marcati che pervade l'intera opera, non a caso dichiaratamente ispirata all'arte dell'incisore francese dei Seicento Jacques Callot, famoso per le sue raffigurazioni stravaganti e provocatorie.

È risaputo che i numerosi elementi di modernità di questo e di altri scritti hoffmanniani hanno fatto sì che i loro influssi si propagassero, più o meno direttamente, oltre i confini del XIX secolo (citiamo a titolo di esempio Skrjabin e Ravel). Schumann è evidentemente fra i primi ad esserne colpito in misura rilevante. Questa fascinazione genera, come suo primo importante frutto, gli otto Fantasiestücke op. 12, scritti ai primi di luglio del 1837, verso la fine del periodo di separazione da Clara Wieck durante il quale la relazione rischia di essere compromessa - una situazione peraltro risolta positivamente col fidanzamento ufficiale solo un mese più tardi. Come al solito, l'influenza del rapporto con Clara sull'attività compositiva è tutt'altro che trascurabile: questi brani, dedicati a un'amica pianista scozzese, e apparentemente meno legati alla figura della futura moglie, in realtà risentono parecchio del momento di crisi sentimentale, che può verosimilmente aver contribuito a dettare la scelta di approfondire la tematica hoffmanniana del sogno, qui inteso come via di sfogo, ricerca di evasione dai turbamenti della realtà. L'op. 12 può essere in fondo vista come un contrastato percorso di accesso al regno della notte, di cui Hoffmann è magistrale esploratore, e dunque al mondo onirico. Non è un caso che a svolgere il ruolo di fulcro dell'opera, spartiacque formale e concettuale, sia posto il quinto brano, In der Nacht (Nella notte), tormentata visione in cui gli incubi più cupi sembrano materializzarsi nell'oscurità notturna e alla fine inghiottire l'oasi di serenità dell'intermezzo centrale. I chiaroscuri attraverso cui si arriva a questo picco di tensione sono perfettamente calibrati: il brano di apertura, Des Abends (Di sera) prefigura l'inizio delle Kinderszenen op. 15 coi suoi toni evocativi di una cullante narrazione infantile. Il primo fortissimo contrasto è provocato dalla violenta esplosione della prima frase di Aufschwung: questo termine, difficile da tradurre, è usato da Hoffmann proprio a proposito dello sforzo di Kreisler di tramutare in energia positiva la "potenza ostile" e il "demoniaco abuso" della musica, da cui si sente oppresso, per poter beneficiare di uno "slancio d'elevazione" (letteralmente "auf-schwingen" significa "librarsi in alto"), "trasfigurazione nel suono e nel canto". Su questa lacerazione interiore accentuata dal sopraggiungere delle ombre serali, mirabilmente incarnata negli impetuosi aneliti dello Schumann-Florestan, medita il terzo pezzo, Warum? (Perché?), problematico interrogativo che si pone lo Schumann-Eusebius - dello sdoppiamento della personalità nelle due figure contrapposte, una passionale e una riflessiva, abbiamo già detto ampiamente nelle presentazioni dei concerti precedenti. Il vivace umorismo sdrammatizzante del n. 4, Grillen (Capricci), pare quasi un'altra allusione vagamente infantile alla bizzosità dei comportamenti tendenti a rinviare il momento di prendere sonno, mentre le paure improvvisamente suscitate dal volto più inquietante della notte nel già citato n. 5 vengono poi dissipate dal n. 6, Fabel (Favola), brano connotato da un umorismo più sfumato ma sempre collegato a un ricordo d'infanzia, in virtù del dualismo fra un semplice tema lento, dolcemente narrativo e un'ironica rapida figurazione di staccati, ritratto sonoro di qualche fantastica inafferrabile creatura del racconto favolistico. Entriamo così nella seconda parte del ciclo, accedendo finalmente al reame del sogno: qui termina l'egemonia tonale del dipolo re bemolle maggiore - fa minore, con l'approdo al do maggiore del n. 6, dominante del fa maggiore degli ultimi due pezzi. Il n. 7, Traumes Wirren (Delirio del sogno), rappresenta probabilmente, con la deliziosa leggerezza delle sue volate, ad esaltazione dell'illimitata libertà della dimensione onirica, il momento più vicino a quella componente dell'ispirazione legata al desiderio di fuga dalla realtà. È infine Schumann stesso a svelare, in una lettera a Clara di qualche tempo dopo, il segreto auspicio sotteso al n. 8, Ende vom Lied (Fine del canto), sintesi finale dell'opera: il sogno iniziato nel n. 7 si conclude qui con un trionfo di campane nuziali, annuncio dell'imminente e definitiva ricongiunzione dei due, non senza però la coda enigmatica di un'eco di rintocco funebre (l'ultima ripetizione del tema in pianissimo), a rimarcare l'angoscia che ha accompagnato la stesura di questo lavoro.

Tale commento ci aiuta a scoprire un aspetto generalmente poco considerato dell'op. 12, vale a dire l'insieme delle sue sottili affinità col ciclo liederistico Dichterliebe (Amore di poeta) op. 48 del 1840. L'ultimo di questi 16 Lieder su testo di Heine verte proprio sul desiderio di lasciarsi alle spalle un'esperienza sentimentale infelice (questa non è coronata da lieto fine): non è difficile cogliere la similitudine di alcuni tratti della sua scrittura pianistica con certe articolazioni dell'op. 12 n. 8, come i massicci passaggi accordali e soprattutto l'anacrusi dei due accordi staccati ribattuti nella sezione centrale, per non parlare del significato della coda in dissolvenza, caratteristica comune ai due brani. Ma i legami fra op. 12 e op. 48 non finiscono qui: si pensi all'importanza che la componente onirica riveste in entrambi i pezzi (nella poesia di Heine questa è una costante), o alla stretta parentela melodica che unisce gli incipit di Aufschwung e del Lied op. 48 n. 9, che proprio come Aufschwung vive su una stridente contrapposizione (da un lato gli echi d'una festosa musica nuziale, dall'altro il penoso sconvolgimento dell'animo del poeta), o ancora alla sostanziale bipartizione delle due macrostrutture complessive, all'interno delle quali la disposizione dei singoli brani è accuratamente pensata in modo da creare, oltre che intensi contrasti di colore, un ben preciso ed estremamente raffinato percorso psicologico-narrativo. Dunque appare piuttosto evidente come Schumann, nel momento in cui si appresta a musicare una serie di liriche centrate su una vicenda sentimentale dolorosa, riviva in qualche modo l'esperienza interiore che sta dietro all'op. 12.

Sempre dal carteggio epistolare con Clara ricaviamo un'altra interessante osservazione sul rapporto fra composizione e ispirazione letteraria: a proposito di In der Nacht Schumann afferma di essersi accorto che il brano allude al mito di Ero e Leandro, ma solo dopo averlo scritto. Dunque l'atto creativo musicale prescinde da qualsiasi considerazione di tipo descrittivo: semmai la lettura di un testo può evocare una serie di immagini nell'inconscio, anche molto lontane dal testo stesso, che poi la musica fa imprevedibilmente riaffiorare attraverso le vie che le sono proprie. In altri termini è la musica, nella sua piena indipendenza, a dar forma alle suggestioni letterarie, più che viceversa: è questa un'idea che in qualche modo anticipa di svariati decenni la concezione dei Preludi di Debussy, che coi loro titoli posti alla fine anziché all'inizio enfatizzano la priorità della musica rispetto allo spunto extramusicale.

Resta il fatto che solo a Hoffmann Schumann concede il privilegio della trasposizione inalterata del titolo dall'opera letteraria a quella pianistica, cosa che avviene anche e soprattutto per Kreisleriana op. 16, uno dei cicli che l'autore stesso colloca ai vertici della propria produzione.

Le Otto Fantasie, composte fra la metà di marzo e l'inizio di maggio del 1838, rendono bene l'idea di cosa significhi per Schumann rielaborare liberamente una lettura. Lungi dal pensare di rispecchiare programmaticamente il percorso, talora cervellotico e disorganico della narrazione hoffmanniana, il compositore focalizza la propria attenzione sui due aspetti della personalità di Kreisler magnificamente sintetizzati dalle già citate espressioni "innocente melodia" e "basso ostinato", e caratterizza ogni pezzo concretizzando l'una o l'altra di queste due metafore musicali. Il tutto viene inscritto in un impianto micro- e macroformale di chiarezza cristallina, in cui il gioco di incastri, sullo schema base A - B - A - C - A,  riflette e nobilita la tecnica narrativa di Hoffmann, sovente fondata sulla segmentazione e sulle reminiscenze a distanza. Il versante dell'innocente melodia è esplorato nei brani 2, 4 e 6, che descrivono un loro specifico percorso all'interno dell'arco strutturale complessivo: esso muove da un idilliaco sentimento di comunione con la natura nel n. 2, passa attraverso la profonda introspezione del n. 4 - con il significativo utilizzo di un frammento melodico che anche altrove, come ad esempio nelle op. 15, 18 e 25, segnala i momenti in cui il discorso musicale si spoglia di qualsivoglia sovrastruttura per sgorgare con immediatezza, come una confessione, dallo scrigno più riposto dell'interiorità - e sembra infine nel n. 6 riuscire a indicare la via al superamento del conflitto tra la luminosità consolatrice e le tenebre terrorizzanti della creatività musicale, da cui Kreisler si sente attanagliato: in questo senso pare andare la citazione del tema dei Davidsbündler, già incontrato in ben altre vesti nelle op. 2, 4 e 9, e qui emergente con raffinata discrezione dalle sonorità soffuse dell'elemento tematico principale, come un segnale di conforto ed incoraggiamento. Ma quelle tenebre si rivelano impossibili da disperdere. Il basso ostinato, la cui ripetitivtà è simbolo delle ossessioni e quindi del progressivo sbocco nella follia, fa la sua prima apparizione nel n. 3, ove dà origine a un finale dalla tragicità lancinante, disperato urlo di negazione che frustra irreparabilmente il rasserenamento del soave episodio centrale; nel n. 5 assume i contorni di un mefistofelismo più ironico, punteggiato da intermezzi scherzosi, e, con sembianze modificate, fa poi riesplodere nel n. 7 nuove violente tempeste sonore, misteriosamente e repentinamente pacificate nell'inattesa coda, costruita sullo stesso scheletro ritmico del motivo iniziale, qui però sfrondato delle tumultuose quartine di semicrome, e dunque per così dire smascherato, per usare un'immagine tipica dell'universo poetico schumanniano. Ma questa ritrovata quiete è solo apparente, giacché il basso ostinato ritorna immediatamente, nella sua veste originaria, a sostenere le saltellanti figurazioni in ritmo puntato del n. 8, giocando con sfasamenti metrici capaci di dar luogo ad ardite variazioni armoniche fra le varie ripetizioni della sezione principale, inframmezzate da episodi sullo stesso ritmo ma di carattere opposto, finché l'ultimo volo mefistofelico che Hoffmann immagina come l'atto della sparizione di Kreisler diviene qui, con acuta ironia, una sfuggente discesa verso l'estremità grave della tastiera: un congedo assolutamente geniale, che meglio non poteva rappresentare l'antiretoricità e l'anticonformismo del personaggio. Una menzione a parte va riservata al brano introduttivo, che, proprio in ideale opposizione al finale del n. 8, fornisce al ciclo un prologo perfetto con la sua ansiogena ed irrefrenabile cavalcata ascendente, e soprattutto racchiude nella parte centrale quell'autentico gioiello che è la trasfigurazione degli arpeggi spezzati in una linea di canto sommesso, un commovente e abissale sguardo introspettivo, fulmineo viaggio nella memoria capace di rivelare, come pochissimi altri brani sanno fare, l'essenza più vera della Sehnsucht romantica.

 "Spettri, ... voci d'angeli ... mi suggeriscono una musica tanto meravigliosa quanto atroce, mi promettono le rivelazioni più sublimi e minacciano di gettarmi nell'inferno". Potrebbe essere questa una frase fatta pronunciare da Hoffmann a Kreisler; si tratta invece di un testo annotato da Clara che riporta alcuni vaneggiamenti del marito durante una fase di crisi acuta della malattia mentale, nel febbraio del 1854: a 16 anni dalla stesura di Kreisleriana per il compositore sembra giunta l'ora di condividere la sorte del personaggio letterario che lo aveva tanto affascinato. Egli trascorre la notte fra il 17 e il 18 a scrivere un tema in mi bemolle maggiore, nello stile di un corale, che sostiene gli venga dettato da presenze spettrali (pare ne avesse identificate due nei fantasmi di Mendelssohn e Schubert). Nei giorni successivi si dedica a quella che sarà l'ultima composizione compiuta, cinque Variazioni su quel tema, che dopo la sua morte verranno chiamate Geistervariationen (Variazioni degli spettri), mostrando peraltro di padroneggiare con sicurezza il mestiere: a maggior ragione dunque sconcerta il fatto che il pomeriggio del 27 egli interrompa inopinatamente il lavoro e vada a gettarsi nel Reno, per poi riprenderlo quasi subito dopo il salvataggio. Questo brano, indissolubilmente legato al ricordo del gesto che sarà determinante ai fini della decisione dell'internamento, non può avere la smagliante forza creativa e la prorompente originalità dei lavori degli anni 30, ma in esso si può ugualmente cogliere una vena poetica che è tanto più impressionante quanto più la si rapporta al momento in cui viene espressa. La nebbia che avvolge la mente dell'autore non gli impedisce di forgiare, ancora una volta, una struttura sapientemente organizzata: il percorso lineare delle prime tre variazioni, basate su tecniche ben differenziate (rispettivamente criteri variativi ritmici, contrappuntistici e ornamentali) cede il passo all'elegiaca quarta, in sol minore, ove gli echi di quelle voci spettrali emergono inquietanti sul corale che fa qui da sfondo sommesso, divenendo nella seconda parte molto simile a una premonizione di marcia funebre. Dalla fitta trama di trentaduesimi della quinta variazione (probabile reminiscenza della variazione finale del primo movimento della Sonata op. 26 di Beethoven) tralucono gli ultimi stupendi raggi dell'astro della creatività giunto al suo tramonto. Impossibile non pensare che qui si chiude la parabola i cui promettenti fulgidi albori erano apparsi proprio con altre cinque variazioni per pianoforte, quelle sul tema Abegg op. 1, 24 anni prima; impossibile, suonando le Geistervariationen, non rivolgere un'ideale richiesta di perdono a Clara per quella che potrebbe essere considerata una violazione della riservatezza, in ragione della sua ferma opposizione alla pubblicazione del brano, dettata da un nobilissimo senso del pudore che vi associava un dolore non esprimibile e non condivisibile. Ma la divulgazione di quest'opera (la prima edizione critica risale al 1939) ci ha consentito di accedere a una preziosa testimonianza che, analogamente a certe accorate ed ancora sorprendentemente lucide lettere dal manicomio, illumina il mesto epilogo della vicenda umana di Schumann: la sobria serie di cadenze che chiude l'ultima delle Geistervariationen ci appare come un tenero commiato dalla vita, certamente antiretorico alla Kreisler, ma, a dispetto delle sofferenze patite, lontano daile nevrosi del protagonista hoffmanniano, anzi garbatamente risolto in un estremo, semplice, dolcemente umoristico, consapevole sorriso.

Fabio Grasso www.fabiograsso.eu

 

 

* Per raggiungere la sala n. 47: salire al primo piano passando per la scala accanto all'ascensore (in fondo al primo cortile sulla sinistra), quindi procedere diritto (locali ex-biblioteca), la Sala n. 47 si trova sulla sinistra a circa metà corridoio.

 

Info: musicafoscari@unive.it

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