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27 settembre 2014

Sala Concerti del Conservatorio B. Marcello di Venezia

 

 

SERIE DELLE OPERE PIANISTICHE DI SCHUMANN

Fabio Grasso, pianoforte  - www.fabiograsso.eu

 

 

PROGRAMMA

 

ROBERT SCHUMANN (1810-1856)

 

Sei Intermezzi op. 4 (1832)

Allegro quasi maestoso - Presto a capriccio

Allegro marcato - Allegretto semplice - Allegro moderato - Allegro

 

Sonata n. 2 in sol minore op. 22 (1835/1838)

I. So rasch wie möglich - II. Andantino - III. Scherzo - IV. Rondò, Presto

 

Toccata op. 7 (1830)

 

Davidsbündlertänze op. 6 (1837)

18 pezzi caratteristici

 

La stagione concertistica 2014 di Agimus Venezia, dedicata a Piet Mondrian, non si limita ad ospitare eventi direttamente ispirati al mondo del pittore olandese, ma si sforza di ricercare legami più sottili con esso anche negli spazi riservati a tematiche differenti. Nel caso di questo secondo appuntamento della serie di opere pianistiche schumanniane il collegamento si evidenzia nel rapporto fra creatività e azione, fra elaborazione personale del pensiero e interazioni con altri artisti, insomma fra sfera individuale e società, una relazione oggetto di innumerevoli studi lungo tutto l'arco della storia delle arti.

Il primo recital era partito dalla profondissima influenza esercitata su Schumann dagli scritti di Jean Paul in merito ai temi della maschera e dell'enigma. Nel programma odierno emergono un'evoluzione e un approfondimento della lettura di quegli scritti, i cui effetti corrono lungo un doppio binario.

Matura da un lato la riflessione sul dualismo fra azione pratica e idealismo contemplativo, cardine del pensiero jeanpauliano e germe della doppia personalità schumanniana incarnata nei volti contrapposti di Florestan ed Eusebius. Ma se in Jean Paul le due sfere appaiono inconciliabili, Schumann crede, più goethianamente, nella possibilità di una sintesi. Lo dimostra, fra l'altro, la fondazione della rivista Neue Zeitschrift für Musik, che non è soltanto un esempio di come l'aspirazione ad avventurarsi in alate dissertazioni estetiche si può ben contemperare con progetti e competenze manageriali ed organizzative di tutto rispetto, ma diventa anche, almeno nelle intenzioni, un centro di aggregazione per musicisti dalle tendenze progressiste condivise. È vero che i Davidsbündler, cioè i membri della lega dei "fratelli di Davide", che ambisce ad unire attorno a questa pubblicazione i giovani innovatori contro i vecchi "Filistei" reazionari, costituiscono più una trovata fittizia che un'effettiva realtà, ma non va dimenticato che si tratta pur sempre di un esperimento pionieristico, e che le idee propugnate attraverso la rivista da Schumann e dai suoi collaboratori, pochi o molti che fossero, producono alcuni risultati tutt'altro che immaginari, come la scoperta di nuovi talenti, fra i quali nientemeno che Johannes Brahms. Non si può negare che questo modello di attività culturale rappresenti un precedente di assoluto rilievo per la fioritura di associazioni artistiche che esplode all'inizio del 900, certo ben più reali ed organizzate, di cui proprio Mondrian è uno dei protagonisti, anch'egli tramite una rivista, De Stijl, che mira all'affermazione di una corrente pittorica grazie al lavoro sinergico di artisti accomunati da un unico ideale estetico.

Dall'altro lato questo programma mette in luce alcune fasi di un processo evolutivo squisitamente interiore, strettamente collegato ai brani eseguiti nel primo concerto, e determinante per i futuri sviluppi creativi schumanniani. La fascinazione fulminea del ballo in maschera notturno di Papillons, con le sue fuggevoli apparizioni, improntate alla leggiadria dei Flegeljahre di Jean Paul, lascia il posto negli Intermezzi op. 4 (1832) ad una vera e propria drammatizzazione, cioè ad una teatralizzazione ben più complessa della gestione dei caratteri simboleggiati dai vari spunti tematici. Questi criptici e poco frequentati brani, definiti dall'autore come "Papillons più lunghi" e "un grido dal profondo del cuore", rivelano tutta l'angoscia di un animo in cerca della sua strada creativa ed esistenziale, come mostra inequivocabilmente la citazione goethiana del lamento di Margherita nel Faust ("La mia pace se n'è andata, il mio cuore è greve"), apposta nel secondo Intermezzo sul tema ricavato proprio dal celeberrimo Lied schubertiano Gretchen am Spinnrade, composto su quel testo. Non a caso un frammento del tema del Lied percorre più o meno sotterraneamente l'intera opera, che per certi versi si richiama anche agli Improvvisi di Schubert, ma che è segnata da contrasti molto più forti, secondo la lezione dell'ironia jeanpauliana, e che è inoltre punteggiata da qualche oscura profezia dei futuri turbamenti mentali, spettri che prenderanno forma più definita a partire da Kreisleriana. Anche le prime autocitazioni, dall'op. 1 e dall'op. 2, ammantate di ombre dubitative o di rimpianto tanto accorato, come per qualcosa di molto lontano e perduto, eppure risalente solo a pochi mesi prima, testimoniano bene il clima generale degli Intermezzi. Per un'analisi completa di questo lavoro molto problematico si rimanda alla sezione "Writings" del sito www.fabiograsso.eu

Ricadute di questa tormentata fase di transizione si estendono alla ricerca formale, aspetto che inevitabilmente si ricollega anche al discorso delle relazioni sociali: infatti gli insistiti, e non sempre subito riusciti, tentativi di trovare una propria via nell'ambito dell'architettura sonatistica, rispetto alla quale in questo momento l'autore sente senz'altro più congeniale il polittico di brevi brani caratteristici, si spiegano, oltre che col gusto per la sfida impegnativa, anche con l'imprescindibilità del cimento nella forma-sonata per qualunque compositore che ambisca a un pubblico riconoscimento di professionalità. Risultato questo che non poteva venire dalla Toccata op. 7 (1830), che pure è assimilabile a una forma-sonata, ma il cui centro d'interesse risiede nell'acuta personalizzazione di un virtuosismo allora molto alla moda, per via della dilagante smania di imitazione pianistica dei clichés paganiniani: qui infatti le rutilanti successioni di doppie e triple note sfuggono alla consueta avvilente funzione di veicolo di vuota spettacolarità grazie al salvifico apporto di un tessuto armonico ricco, variegato e di gusto musicale molto fine, capace di originare un'atmosfera elegantemente giocosa e vagamente autoironica, e atto ad ovviare al meccanicismo di una scrittura che peraltro ha il merito di essere un utile laboratorio per il Paganini del Carnaval. Negli anni 30 la stesura di forme-sonata di ben altre ambizioni conosce periodi di gestazione piuttosto lunghi e travagliati, non privi di importanti ripensamenti. È il caso della Sonata in Sol minore che reca il numero d'opera 22, ma che Schumann inizia a pensare già dal 1833, per realizzarne la maggior parte nel 1835 e per poi approdare alla versione definitiva nel 1838. Non è difficile rilevare in essa alcuni tratti dei lavori sonatistici più maturi: la coesione della macroforma si coglie in modo sufficientemente chiaro in virtù delle dimensioni relativamente ridotte e dell'unità tonale, da cui si discosta solo il magnifico Andantino in Do maggiore, apice espressivo dell'opera; il primo movimento, nonostante il violento pathos cui il Rachmaninov della seconda Sonata non sarà indifferente, presenta un'Esposizione scevra di ridondanze strutturali e una tecnica di sviluppo che, per quanto ancora un po' grezza, anticipa in qualche misura schemi e meccanismi largamente utilizzati in seguito. Uno di questi, il sistema delle sezioni ripetute e trasposte, trova spazio nel Presto conclusivo, che arriva con circa tre anni di ritardo rispetto al resto della Sonata, a rimpiazzare un altro Presto, probabilmente considerato non abbastanza dotato di una propria spiccata personalità, che invece non fa sicuramente difetto al suo sostituto. Esso può essere visto come un anomalo rondò-sonata in cui l'ordine tradizionale degli elementi è sovvertito, il secondo tema è un episodio cadenzante di andamento molto più moderato, e la parte centrale con funzione di Sviluppo viene inopinatamente riproposta fra la Ripresa canonica e l'ulteriore Ripresa decurtata che prelude alla Coda; è in questa spiazzante ripetizione variata della sezione centrale che riscontriamo un ampio blocco trasposto, unitamente all'originalissima idea di leggere in senso retrogrado la progressione modulante d'apertura.

Come si può notare, Schumann non rinuncia a stupire con le sue sperimentazioni anche quando si misura con le forme tradizionali; tuttavia è evidente che nel periodo in esame le sue potenzialità creative si esaltano al massimo sul terreno formale a lui più caro, vale a dire la grande collezione ciclica. Ecco che allora nel 1837, prima che l'op. 22 giunga a completamento, vedono molto più rapidamente la luce i Davidsbündlertänze, un ciclo di estrema importanza che, potremmo dire, sta al Carnaval come gli Intermezzi op. 4 stanno ai Papillons. Al lavoro viene assegnato il numero d'opera 6, ma si tratta di una forzatura dovuta allo spunto ispiratore. Il compositore è appena entrato in quella che presumibilmente è la fase più felice della sua vita: la decisione di ufficializzare il fidanzamento con Clara Wieck a dispetto di tutti gli ostacoli è appena stata presa, e l'evento viene in qualche modo festeggiato avviando la composizione di quest'opera, il cui incipit cita esattamente l'attacco della Mazurka op. 6 di Clara, ragione per cui Robert compie la scelta del numero d'opera uguale a quello di lei, anche se completamente sfasato rispetto alla propria cronologia reale.