A.GI.MUS. VENEZIA – STAGIONE CONCERTISTICA 2008

CONCERTO n. 3

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sabato 18 ottobre 2008

Ca’ Rezzonico, ore 18.30

Marco Grilli, pianoforte

 

 

PROGRAMMA

 

F. Schubert (1797- 1828)

Sonata per pianoforte n. 20 D959 in La maggiore

1. Allegro

2. Andantino

3. Scherzo ( Allegro vivace) & Trio ( Un poco più lento)

4. Allegro – Presto

 

* * *

 

R. Schumann (1810-1856)

Allegro in si minore

 

R. Schumann (1810-1856)

Fantasia op. 17

1. Durchaus phantastisch und leidendschaftlich vorzutragen

2. Durchaus energisch

3. Langsam getragen

 

 

 

Marco Grilli

 

 

Nato a Frosinone nel 1986, Marco Grilli si è diplomato all’età di diciotto anni presso il Conservatorio “Licinio Refice” di Frosinone con il massimo dei voti, lode e menzione speciale sotto la guida della Prof.ssa Ornella Grossi.

Dal 2004 studia con i Maestri Leonid Margarius ed Anna Kravtchenko presso l’Accademia Pianistica Internazionale “Incontri con il Maestro” d’Imola, ove ha ottenuto due borse di studio.

All’età di tredici anni, valutato tra i migliori allievi dei Conservatori Italiani, è stato scelto per esibirsi nella rassegna musicale “San Remo Classico”.

Nell’anno 2002 ha suonato nell’Auditorium “Policlinico Gemelli” di Roma e nello stesso anno ha eseguito il Concerto n. 3 di L. van Beethoven inaugurando la “Stagione Musicale”di Frosinone presso l' Abbazia di Casamari.

È arrivato tra i finalisti del Concorso “Muzio Clementi” di Lastra a Signa (FI) e nel 2007 ha vinto il Primo Premio nel concorso “Terzo Musica” di Alessandria.

Ha partecipato alla stagione musicale di Frosinone eseguendo il Concerto n. 2 op.18 di Rachmaninov.

Ha suonato per l’Associazione Concertistica Romana, l’Associazione Mozart di Rovereto, il 69° Maggio Musicale Fiorentino, il Festival “Nota Verde” di Folgaria e l’Accademia Filarmonica di Rovereto.

 

 

Non costituirebbe certo un’osservazione di particolare originalità l’affermare che le due opere del programma di stasera sono perfettamente inserite nel solco della tradizione postbeethoveniana di ossequio e venerazione nei confronti del maestro di Bonn, essendo questa una caratteristica comune alla quasi totalità della produzione musicale di questi anni; tuttavia non ci si può esimere dal ricordarlo, per via della particolarissima ispirazione della Fantasia op. 17 di Schumann, e della connotazione così marcatamente personale che assume il lnguaggio delle ultime Sonate di Schubert, proprio in rapporto all’adorato modello beethoveniano.

L’intima distesa vena melodica, unita a trovate armoniche dall’effetto sorprendente, costituisce un denominatore comune a quasi tutta la produzione sonatistica schubertiana, e deve molto a quel novero di Sonate di Beethoven, o parti di esse, in cui le ardenti fiammate, gli slanci appassionati e i voli più audaci dello spirito si stemperano in un non meno mirabile linguaggio improntato alla colloquialità, ora sorridente ora elegiaca, come, solo per fare due esempi inequivocabili, l’op. 14 n. 1 e il secondo tempo dell’op. 90. Ma il gruppo delle ultime Sonate, cui anche questa D959 del suo ultimo anno di vita appartiene, segna la maturazione definitiva di una cifra stilistica estremamente personale, per certi versi lontana da Beethoven, e destinata ad influenzare profondamente il pensiero compositivo di autori futuri, da Mendelssohn a Mahler. Si tratta infatti del compiersi di un lungo percorso verso una tecnica di sviluppo dei materiali che poco ha da spartire con la stringente elaborazione tematico-motivica, aspetto immancabile dei processi compositivi beethoveniani, e anche di molto Schubert precedente (basti pensare alla Wandererfantasie), e che può essere invece definita come elaborazione narrativa degli spunti tematici delle sezioni espositive. Essi non vengono più utilizzati beethovenianamente come pietra da scolpire e rimodellare con incessante lavorio di trasformazione, bensì quasi sempre riproposti nella loro integrità melodica, solo dilatati nel tempo e nello spazio sonoro, con variazioni dei contesti tonali e talora armonici, in una sorta di estensione quasi rapsodica. La conseguente proliferazione di sottosezioni incidentali, richiami e digressioni incide molto anche sulla forma, costellando di variegati excursus il filo principale del discorso. Basterà citare il curioso episodio cromatico-contrappuntistico che punteggia il secondo tema del primo tempo di questa Sonata, che dà quasi l’impressione di uno sviluppo anticipato. Vale infine la pena di notare come questa Sonata sia segnata dal gusto per l’autocitazione: verso la fine del secondo tempo una frase ricorda chiaramente l’Improvviso n. 3 dell’op. 90 (D899), mentre il tema principale dell’ultimo tempo è lo stesso del secondo tempo della Sonata D537 (n. 4). Questo ci introduce a Schumann: maestro dell’autocitazione, che però in realtà si produce, nella Fantasia op. 17 (1836), in un meraviglioso lavoro di citazione proprio da Beethoven, motivato dallo spunto ispiratore del brano. La Fantasia fu infatti scritta per aderire ad una sottoscrizione per la costruzione di un monumento a Beethoven; questo diede modo a Schumann di sfruttare l’occasione per un segreto omaggio alla futura moglie Clara, anche interprete principe dei suoi lavori pianistici, attraverso la citazione, prima velata, e poi lampante alla fine del primo movimento, di un tema beethoveniano tratto dal ciclo An die ferne Geliebte (All’amata lonana). La forma della Fantasia schumanniana ha inevitabilmente dei legami con la forma-sonata, ma sempre sublimati nella luce trasfigurante che il genio di Zwickau le infonde, Davvero la riplasmatura che Schumann opera delle suggestioni che gli arrivano dalla tradizione è così profondamente originale che sembra derivare da visioni di sogno, forse quel sogno a cui allude nel motto schlegeliano apposto all’inizio della partitura, con riferimento al programma “privato” del brano cui abbiamo fatto cenno: “Nel sogno variopinto della Terra, fra tutti i suoni, ve n’è uno che echeggia più sommesso, per chi ascolta nel segreto”.

 

Nota di sala: Fabio Grasso

 

 

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